La nostra tesi è dunque che per la suprema artista, quale la signorina Renata è, canto incanto sono una cosa sola.
L’incanto, la melodia cantata, è l’anima del canto. Se lo si conquista, è più forte del canto stesso strettamente inteso.Voglio ripetere: l’incanto, che si identifica con la perfezione della melodia cantata, è così forte da contenere in sè la cosidetta “espressione” pur se, ipotizziamo, quel che la scuola di canto, volgarmente intesa, afferma, tale “espressione” considerata non spinta all’estremo, ma solo oggetto d’allusione elegante. Questo è vero in linea di principio, e mi preme lo sia in linea di principio perchè in linea di principio rende non errato, superfluo il confronto fra la signorina Renata e altre artiste. Il confronto è superfluo in fatto giacchè la tesi, una volta che si ascolti il canto della signorina Renata, è dimostrata vera in fatto. In fatto tutto quel che esce dalla voce della signorina Tebaldi rappresenta il culmine di ciò ch’è recte “espressione”.
Coloro che non hanno compreso l’arte della signorina Renata adducono a suo carico una ricerca del “bel suono” a discapito dell'”espressione”. Quanto precede confuta sotto ogni profilo la grossolana interpretazione. Occorre invece, superare lo scoglio, chiarire che cosa per “bel suono”, nel caso della signorina Renata s’intenda. Prima facie, e se facciamo parlare la grande artista, il “bel suono” è il presupposto del canto, qualsiasi cosa si abbia a cantare, qualsiasi personaggio si abbia interpretare. Ancora una volta eccesso di modestia e sancta simplicitas si mescolano nell’interpretazione che la Tebaldi dà di se stessa. Se è vero che il “bel suono” è presupposto, non meno vero è ch’esso è conquista. Facile conquista, potrà affermare ciascuno di noi. “Di voci così ne nascono una, forse due in un secolo!”, ebbe a dire Riccardo Zandonai quando la grande, artisticamente e umanamente, Carmen Melis portò la ragazzina, studentessa di pianoforte che ispirandosi ai tasti ne imitava vocalmente il suono, a un’audizione con l’illustre compositore. E’ vero: la Tebaldi partì incomparabilmente favorita. Fosse stata contente al quia, vale a dire se ne fosse rimasta lì, considerando il parere del Maestro un punto di arrivo, non sarebbe stata molto diversa da certe protagoniste di carriere fulminee che si vedono oggi. Carriere fulminee incomincianti e terminanti quasi simultaneamente e che, per di più, partono da un organo vocale nemmeno alla lontana paragonabile con quello della Tebaldi. Partenza incomparabilmente favorita, dunque; poi studio. Profondo, duro, ma non “matto e disperatissimo”, per fortuna della Tebaldi e nostra; giacchè in aggiunta al dono della voce ella possedette quello d’un carattere sereno e delicato, sebbene d’un imparagonabile senso della dignità personale: Sereno: lo studio, che noi sappiamo, come il canto sulla scena, esser stato per lei sempre sacrificio, effusione, dono, per di lei dichiarazione a chi scrive fu sempre considerato lieta fatica. “Mi riusciva facile e veloce”: e qui ci si domanda se il prodigio fosse ulteriore, o ulteriore il minimizzare se stessa proprio della creatura angelica. Certo sappiamo esser prodigiosi nella Tebaldi i tempi di memorizzazione d’una parte nuova. Ma memorizzazioni, a dir così in superficie, nella musica, segnatamente nel canto, ve ne sono sempre state e ve ne sono tuttavia. “Mettere la parte in gola”, o “in voce”, come si dice in gergo, è tuttal’altro. E’ lo studio profondo in base a che qualsiasi nota, poi la frase musicale, poi l’intero pezzo chiuso, indi l’opera intesa quale sintesi, trovano il perfetto punto d’appoggio della voce.
Allora i fiati regolari e lunghissimi hanno accompagnato la signorina Renata lungo tutto il suo cammino artistico: se non che, a un certo momento, l’autoanalisi implacabile da lei praticata sul suo organismo e il di lui dominio artistico le fecero varcare l’ultima soglia. Ella trovò un’ulteriore distensione del diaframma e il definitivo “punto d’appoggio” per il fiato. A quel punto il timbro argentino divenne oro sfolgorante, la “ragazza” divenne “donna”. Alla “ragazza” corrispondeva, oltre che il timbro già detto, un carattere fisico e psicologico di piena italianità, ma maestoso e pieno, è quello della “donna”.
Quando ascolti le medesime partiture da lei interpretate nei diversi periodi, ti è difficile scegliere: ogni volta preferisci ciò che stai ascoltando: Sono miracoli di natura e arte incomparabili in ambo i casi.